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Spettacolo teatrale “Quasi amici”: Intervista a Massimo Ghini

Data di pubblicazione 6 Maggio 2024
Tempo di lettura Lettura 5 minuti

In occasione della tappa torinese dello spettacolo teatrale “Quasi amici”, che ha chiuso una fortunata tournée, durata due stagioni, abbiamo fatto due chiacchiere con Massimo Ghini, co – protagonista della commedia, insieme a Paolo Ruffini.

Ghini, “Quasi amici” giunge dopo svariate sue interpretazioni realizzate per la tv, per il cinema, per il teatro. L’aver accettato la proposta di questo “ghiotto” adattamento teatrale, si può definire una sfida, l’ennesima della sua carriera?

Sicuramente, sono una persona che ama la sfida. Fin dall’inizio, per me fare questo mestiere è stata una sfida nei confronti della famiglia e di tante cose. Non ho mai amato le specializzazioni, non so perché si pensi che nel paese del posto fisso,anche l’attore debba seguire questa direzione. Mi è arrivata qualche offerta che ha creato anche qualche discussione tra me e i miei collaboratori, ho sempre detto che mi dà un impulso maggiore,una sfida che mi permetta di cambiare anche fisicamente,di muovermi o come in questo caso, non muovermi,in un ambito diverso da quello della propria vita,ed è il motivo trascinante di questo mestiere. Il mio curriculum parla per me,se lo si legge si vede che ho fatto di tutto,non sono un genio ma dormo tranquillo, sapendo di non esserlo ma di essere un buon professionista.

Lei sul palco interpreta Philip, un signore affetto da tetraplegia. Qual è stato il percorso di preparazione a questo spettacolo?

Allora,sono arrivato alle prove, ad Avezzano in Abruzzo, con 10-12 giorni di ritardo perché stavo girando un film, la produzione lo sapeva, quindi è mancato il tempo tecnico, visto che le prove erano già cominciate. Al mio arrivo sono salito sul palco,dove erano in corso le prove,ho visto la mia sedia,il mio mezzo di spostamento e ho avuto come un brivido sulla schiena. Mi sono messo seduto, ho chiesto di lasciarmi tranquillo e mi sono messo a girare e a capire il funzionamento determinate cose ma più che altro a capire come non muovermi da li è nata la sfida. Durante le prove e con lo spettacolo la carrozzina è diventata una sicurezza, lo hanno riconosciuto anche i critici: ” impressionante non ti muovi mai”. Devo arrivare alla vera somiglianza delle cose, amando la sfida, questa era per me essendo anche un attore fisico,l’esatto contrario di quello che ho sempre fatto come corse a cavallo o fare lotte. Qui ho costruito il mio personaggio su un rapporto pazzesco tra un uomo colto,intelligente e ricco e un uomo ignorante e maleducato che diventano amici. Questa è una storia,viva. Quando finisce lo spettacolo, ricordarsi che è una storia vera,fa capire che, in fondo,è come se fosse una storia d’amore tra queste due persone.

Quali le divergenze tra i “Quasi amici” francesi che hanno spopolato sul grande schermo e la coppia tutta italiana formata da lei e Ruffini che tanto successo sta ottenendo nei teatri della penisola?

Noi non volevamo fare la fotocopia del film francese, evitando inutili polemiche che pur ci sono state. Il punto è, sottolinea Ghini, che la storia più importante non è nel colore della pelle – i francesi possono permettersi di farlo perché vengono da essere stato popolo colonialista e hanno un diverso approccio culturale – ma il reale focus è raccontare una storia che vede protagonisti un uomo intelligente e un uomo meno intelligente, ignorante,maleducato,che si incontrano e invece di combattersi fanno nascere tra di loro un’ amicizia tale che diventa uno scambio di qualcosa che l’altro non ha. Dris dà a Philip l’occasione di riscoprire certe cose e,viceversa Philip dà a Dris l’opportunità di evolvere,di crescere e uscire fuori da quel mondo difficile (es. banlieu in Francia e sottoproletariato in Italia). Noi non tradiamo anima e cuore del racconto e il pubblico lo ha capito e ha accettato uno spettacolo politicamente scorretto. Avessimo fatto la stessa cosa con una persona di colore sul palco e un linguaggio politicamente scorretto, questo paese provinciale avrebbe reagito male. Invece c’è una persona con accento toscano che dice “robe” che in un’altra situazione farebbero venire i brividi. Il giorno in cui abbiamo debuttato a Mestre trovammo fuori dal teatro almeno quattro persone in carrozzina e con grande emozione abbiamo ricevuto da loro e da tutti gli altri non rimproveri ma richieste di foto, di abbracci, di un confronto.

Viste le derive che,sotto traccia,stanno lambendo questo “universo”,quali,discriminazione e abilismo. Il vostro “Quasi amici” può essere considerato un contributo ad una nuova e diversa immagine e cultura della disabilità?

È la stessa operazione fatta con “Il vizietto”,che già alla fine degli anni ’70,ha affrontato un tema delicato come l’omosessualità,che ancora oggi,da molti,viene considerato un tabù,attraverso un genere “leggero” come la commedia che consente di raggiungere un pubblico popolare con la stessa forza di qualunque dibattito o manifestazione.

Dalla sua immersione in questo “mondo”,cosa ritrae il suo personale scatto fotografico?

Di fronte alla disabilità dovremmo prendere in parte coscienza e politicamente organizzare le cose,perché le barriere architettoniche,in realtà, sono una delle difficoltà maggiori che le persone con disabilità affrontano,e dall’altra parte l’idea di poter superare l’atteggiamento provinciale antico, che è la distanza tra noi e gli altri e la diversità è anche essere un po’ ipocriti. E’ emblematico in questo senso un racconto di Paolo Ruffini,Paolo racconta di una serata trascorsa con una ventina di amici,lui spiritoso graffiante,con un tono scherzoso,ha preso in giro uno ad uno le persone presenti,tranne uno; ad un certo punto, il ragazzo,con sindrome di down gli ha detto”:scusa perché hai preso in giro tutti e a me no?”. Questa cosa fa pensare, Paolo si è frenato per la paura di offendere invece ha ottenuto l’effetto contrario.

Per Volonwrite Mauro Costanzo

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