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La disabilità in letteratura: libri, personaggi, storie

Data di pubblicazione 17 Luglio 2024
Tempo di lettura Lettura 13 minuti

La disabilità in letteratura: libri, personaggi, storie

A partire dall’articolo di Francesco Bova, la redazione di volonwrite vuole immergere i nostri lettori nei diversi modi in cui la disabilità è stata raccontata nella letteratura, nel cinema e nella storia.

Il tema della disabilità è molto ampio e nel tempo sono state condotte ricerche e studi per comprendere la condizione esistenziale di una persona che per nascita, malattia o incidente è considerata diversa e più fragile di altre persone.
Tuttavia la fragilità è un concetto che può comprendere la disabilità ma che non deve essere confuso con essa è che va analizzato singolarmente: si può essere fragili per condizioni fisiche, economiche o sociali.
Su questa linea di pensiero è doveroso inserire anche il concetto di diversità laddove, insieme alla fragilità e sommata a condizioni di esasperazione, possono rendere più complessa la disabilità.

In diversi settori disciplinari (filosofia, medicina, teologia etc..) i tentativi di costruire l’idea o un modello di disabilità sono tanti e a volte molto controversi tra di loro: dottrine più fatalistiche e conservatrici (l’idea stessa del male e della colpa che sfocia nel modello di intervento compassionevole e caritatevole) che entrano in contrasto a teorie più avanzate degli ultimi anni (il modello bio-psico-sociale dell’inclusione).
Altri punti di vista meno realistici (“il diversamente abile”, il “bambino speciale”…) con l’utilizzo di un linguaggio sbagliato negano e oscurano la realtà di chi quotidianamente deve superare una condizione di disagio e di sofferenza in una società (la collettività, la comunità) che è stata costituita per la “normalità”
E’ fondamentale sottolineare che le istituzioni e la collettività spesso sono le prime barriere che le persone con disabilità devono affrontare per delle distorte e ormai datate convinzioni che prima di tutto sono state messe in atto senza considerare e approfondire a 360° il concetto di inclusione.

Un punto di vista storico:

La “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” dell’ONU del 1948 riconosceva, tra gli altri, i diritti inalienabili delle persone con handicap; in seguito la Convenzione ONU del 2006 cambia il registro lessicale e non si riferisce più alla persona handicappata ma alla persona con disabilità, ribadendo, nella sua accezione più ampia, il pieno godimento del diritto alla vita.

Nel linguaggio tuttavia la parola handicap è ancora fortemente utilizzata e causa di condizioni di svantaggio all’interno di un’organizzazione sociale ed economica che continua a discriminare (distingue e differenzia tra i cosiddetti più bravi e i meno bravi rispetto al concetto di prestazione) e conseguentemente emargina chi non possiede la fisicità e i caratteri per competere.
Negli anni Trenta del Novecento nasceva in Inghilterra la “Lega femminile della salute e della bellezza” e, subito dopo, i regimi totalitari della Germania e dell’Italia promuovevano il culto della Bellezza, della Virilità e della Fertilità che presto degenerò nell’ideologia dell’eugenetica – del ben nato, della buona stirpe – e del darwinismo sociale.
Ad oggi sono le stesse persone con disabilità che tramite la politica e la cultura cercano attivamente di contrastare una società basata su valori di consumismo estremi.
Inoltre, nei periodi storici di grande recessione economica, lo stigma diventa ancor più strisciante – “Quanto ci costi!” – per la ragione che le persone con disabilità in condizione di maggiore fragilità sono considerate per lo più soggetti passivi da accudire che consumano le scarse risorse della collettività.

La conoscenza affettiva e il linguaggio delle emozioni

È difficile raccontare la vita, i sentimenti, i sogni, le delusioni, i desideri di una persona con disabilità che ha un nome, una famiglia, un affetto, una concezione del mondo. Quando tentiamo di rispondere con gli strumenti delle discipline scientifiche alla domanda “Chi è la persona disabile?”, la nostra narrazione rischia di essere asettica, accademica e manualistica, anche quando parliamo della sua sessualità o della sua anima. Tutto ciò che non ha una forte identità, che è poco riconoscibile, sacrificato sul piano della casistica medica, sociologica, giuridica e della statistica non crea pathos nel lettore comune, nel grande pubblico, e viene in qualche modo banalizzato.
Le persone si avvicinano e tentano di far crollare il muro delle barriere quando comprendono un fenomeno non solo sul versante cognitivo ma, anzitutto, su quello empatico, che significa mettersi nei panni dell’altro.
È il linguaggio delle emozioni che cattura tutti gli organi di senso della nostra anima per ascoltare le parole e la storia di un altro essere umano.
L’idea della disabilità, il personaggio del disabile, di colui o colei fragili e diversi, sono più avvicinabili quando sono raccontati da altre figure come quelle degli artisti: poeti e scrittori, pittori e musicisti, cantanti, fotografi e registi che utilizzano non le fredde argomentazioni degli scienziati ma il linguaggio delle emozioni per commuovere, impressionare, sedurre ed eccitare. Ciò che inquieta spesso ci mette nella condizione di voler capire. L’arte ha questa finalità. Una carezza o uno schiaffo scalfiscono le nostre certezze, ci aprono gli occhi, ci fanno muovere e se siamo all’interno di un limbo o addirittura in un buco profondo e buio ci danno la forza di andare oltre, di combattere per un sogno, per un’idea diversa della disabilità.
È necessario rompere il guscio della normalità, che ci contiene e che nello stesso tempo ci protegge, per trovare la forza di mettersi in gioco e denunciare ciò che non va. Per fare ciò è importante costruire una coscienza critica. Francesco Bova consiglia di leggere Paulo Freire, grande pedagogista brasiliano, autore di L’educazione come pratica della libertà e di La pedagogia degli oppressi, due saggi sui processi di umanizzazione e di coscientizzazione.

L’idea della disabilità in letteratura

La letteratura e il cinema hanno raccontato la disabilità con stili, registri e narrazioni riferite a diversi periodi storici e culturali. Era già accaduto – e sta accadendo – con altri fenomeni sociali: l’apartheid, le dipendenze, il disagio nelle banlieues parigine, la discriminazione nei confronti dei malati di Aids, le battaglie d’orgoglio della comunità arcobaleno.
Un romanzo e un film d’autore sono più incisivi per il grande pubblico rispetto al buon saggio di un sociologo. Molte volte gli artisti con la loro sensibilità anticipano gli studiosi. Le loro antenne captano le onde del disagio e dell’ingiustizia, con la parola o una sequenza di fotogrammi ci raccontano una storia. La storia di una persona. Raccontano, fanno vedere, alzano l’indice della denuncia.
Il verbo “denunciare” ha diversi significati, oltre quello giuridico di dare notizia di un reato, include sinonimi come riferire, smascherare, rivelare, mostrare. L’opera di un artista può contenere una morale – il messaggio – ma non contiene formule per risolvere un problema che attiene alla giustizia e alla politica, ma mostra e rivela il disagio, il dramma e smaschera l’ingiustizia. Lo stile e la narrazione di un saggio sulla disabilità è quello della ricchezza e attendibilità delle analisi e della sobrietà del linguaggio, mentre quello di un’opera artistica si caratterizza sul piano della drammaturgia, espressa pure con metafore, situazioni surreali, eccessi che hanno la finalità di “sbalordire”. Anche questo verbo ha diversi significati: quello di stupire, impressionare, turbare il lettore o lo spettatore, nel caso di un romanzo o di una pellicola.
Giovanni Verga nel 1880 ci descrive la vita di due poveri ragazzini siciliani che lavorano in una miniera: Rosso Malpelo, disprezzato e considerato cattivo a causa dei suoi capelli rossi e Ranocchio, chiamato così perché è sciancato e morirà di tubercolosi. È questa una storia di pregiudizi e di emarginazione che cattura il lettore non solo per l’analisi sociologica, ma per la sua drammaturgia.
Cesare Pavese nel suo ultimo romanzo, La luna e i falò del 1950, inserisce tra i personaggi Cinto, un ragazzino orfano con una grave malformazione alle gambe. Quasimodo, un essere deforme, noto come il gobbo campanaro di Notre Dame, è invece il protagonista del romanzo di Victor Hugo Notre Dame de Paris pubblicato nel 1831. Nel romanzo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte dello scrittore inglese Mark Haddon il protagonista è il quindicenne Christopher Boone, un ragazzo con una diagnosi di sindrome di Asperger.
Nel 2008 lo scrittore Paolo Giordano pubblica il romanzo La solitudine dei numeri primi, con protagonisti Alice, una bambina che diventerà zoppa a causa di un incidente e di Mattia, la cui gemella Michela è autistica.
Fiori per Algernon è un romanzo di fantascienza del 1960 dello scrittore statunitense Daniel Keyes, sul tema dei disabili con ritardo mentale.
La Figlia del silenzio è un romanzo della statunitense Kim Edwards che racconta la storia di un uomo che abbandona la figlia appena nata, affetta da sindrome di Down. Un’esperienza personale, romanzo dello scrittore giapponese Kenzaburō Ōe, Premio Nobel per la letteratura nel 1994, descrive la vicenda di un padre che rifiuta la grave malformazione cerebrale del figlio e pensa di ucciderlo.

Questi romanzi, ci spiega Francesco, descrivono profondamente l’idea della disabilità e il dramma che si consuma di fronte alla menomazione, alla diversità, alla solitudine, alla paura, alla derisione, alla responsabilità dei genitori spesso abbandonati dalle istituzioni.

L’idea della disabilità in televisione

Pure il cinema e la televisione hanno tentato di descrivere l’idea di disabilità e di rispondere alla domanda Chi è la persona disabile?, sensibilizzando e coinvolgendo il pubblico dei grandi numeri, anche per la ragione che la fruizione di una pellicola e di una serie televisiva richiede, rispetto alla lettura di un libro, uno sforzo intellettuale diverso.
La televisione in questi anni ci ha fatto conoscere personaggi che sono diventati dei veri propri eroi, caratterizzati dalle loro stranezze e disabilità che a volte li rendono fragili nelle relazioni sociali e affettive. Penso al tenente Colombo, distratto e trasandato, che veste un vecchio impermeabile beige, sbiadito e sgualcito. Al dottor House, primario di medicina con un carattere burbero e menefreghista, con una menomazione alla gamba e in compagnia di un inseparabile bastone. Il detective Monk, affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo, soffre di ben 312 fobie che gli comportano gravi problemi comportamentali. Anche il Professor T., un esperto di criminologia psicologica, soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo che complica la vita a lui e ai suoi collaboratori. Joséphine, ange gardien è una nota serie televisiva francese con protagonista un’attrice nana. È un angelo custode dotato di poteri magici – ne abbiamo tutti bisogno – che dal cielo scende sulla Terra per aiutare le persone che hanno problemi.
Paradossalmente la fragilità del giovane criminologo di Criminal Minds, il brillante e super dotato Spencer Reid, nasce proprio dal suo alto quoziente intellettivo che gli pregiudica una sana vita sociale e affettiva. Potremmo affermare con una battuta che siamo tutti un pochino disabili e diversi, anche quando svolgiamo in società un ruolo significativo.
Per esempio Roosevelt, il Presidente USA dal 1933 al 1945, colpito da una grave forma di poliomielite, cercava di nascondere al pubblico la sua disabilità indossando pesanti tutori di metallo per non farsi vedere seduto su una carrozzina.

La disabilità narrata dal cinema

Il film d’animazione Dumbo del 1941 è la storia di un cucciolo d’elefante che viene emarginato dai suoi simili e ridicolizzato dai ragazzini per via delle sue grandi orecchie, finché sbalordirà tutti imparando a volare utilizzando le orecchie come ali.
L’elefante che vola è una intelligente e originale metafora perché dimostra che pure chi ha un peso enorme, grandi orecchie e una lunga proboscide può volare come un uccello e non sentire la gravità delle sue disabilità.
I cartoni animati della Walt Disney, dedicati ai più piccini e non solo, sono stati un esempio di grande sensibilizzazione sui temi della diversità.
Pinocchio, il bambino di legno con un lunghissimo naso, gli allegri e turbolenti nani di Biancaneve, la famosa fiaba La Bella e la Bestia – le cui lontanissime origini le troviamo in Amore e Psiche di Apuleio – Paperino e Paperoga sono personaggi diversi e speciali che hanno catturato il pubblico proprio per le loro fragilità.
Ma oltre il cinema di animazione ci sono stati nella metà del primo Novecento anche pellicole d’autore che, con diversa fortuna, hanno trattato il tema della disabilità, pure con grandi eccessi narrativi.
È il caso del film Freaks del regista Tod Browning (1880-1962), tratto dal racconto Spurs dello scrittore americano Tod Robbins (1888-1949) che nel 1932 suscitò orrore nel pubblico e fu tenuto alla censura per oltre trent’anni. I personaggi di un circo sono interpretati da autentici disabili con gravi malformazioni fisiche, essi rappresentano i cosiddetti fenomeni da baraccone – con riferimento al Circo Barnum statunitense – che si vendicano in modo atroce di alcune persone di animo cattivo e considerate normali.

Nel 1939 uscì il film in bianco e nero Notre Dame con il personaggio del campanaro Quasimodo – tratto dal romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo – descritto come un essere deforme – guercio, zoppo, piegato su sé stesso e sordo – che i parigini odiano, credendolo figlio del Diavolo e di una strega, ma è un uomo di nobili sentimenti.
Nel 1980 ebbe grande successo il film The Elephant Man diretto da David Lynch. L’uomo elefante è la storia, ambientata nella Londra di fine Ottocento, di un giovane deforme tenuto in cattività ed esposto a pagamento durante gli spettacoli di strada.
Il mio piede sinistro, tratto dall’omonimo libro, è un film di Jim Sheridan del 1989 che racconta la storia vera di di Christy Brown, scrittore e pittore irlandese nato con una grave paralisi lungo tutto il corpo, tranne per il piede sinistro.
Forrest Gump, film del 1994, con Tom Hanks che interpreta il personaggio di un uomo con problemi cognitivi e di deambulazione, ma che ha un grande successo nella vita.
Fur – Un ritratto immaginario di Diane Arbus è un film del 2006 con protagonista la bella attrice Nicole Kidman che interpreta una famosa fotografa americana del XX° secolo, la quale sfidò le convenzioni dell’epoca sul concetto di bello, buono e normale fotografando i freaks, i protagonisti dell’Hubert’s Museum, il baraccone delle meraviglie umane nella 42ª strada di New York.

Queste e molte altre sono le opere cinematografiche, che possiamo ascrivere nel filone del cosiddetto film d’impegno civile, ispirate ai temi della disabilità. Questo è il carattere del cinema sociale che ha come scopo la denuncia e la riflessione su temi importanti.
“Un vero processo di coscientizzazione”, direbbe Freire, attraverso l’immagine e la parola.
Vorrei ricordare esperienze italiane come quella del Social World Film Festival, la rassegna cinematografica del cinema sociale promossa, tra gli altri, dalla RAI, dalla Federazione Italiana Editori Giornali, dalla Fondazione Pubblicità Progresso, Sky, Publitalia ’80 che proietta cortometraggi, documentari e lungometraggi, molti dei quali a basso budget e di natura indipendente.
Poi c’è il cinema di intrattenimento con un dramma a lieto fine, come nelle commoventi commedie che ci fanno ridere e piangere.
Accade nel film del 2022 di Riccardo Milani Corro da te, interpretato da Miriam Leone e Pierfrancesco Favino, remake del film franco-belga Tutti in piedi del 2018, scritto, diretto e interpretato da Franck Dubosc.
È una romantica storia d’amore in sedia a rotelle dove il protagonista maschile, per una serie di fraintendimenti, finge di essere paralizzato dalla vita in giù per sedurre una bella ragazza disabile anch’essa in carrozzina.

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