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Panopticon 2025: quattro mostre per spaesare lo sguardo, sfidare il pensiero, cambiare prospettiva

Data di pubblicazione 9 Aprile 2025
Tempo di lettura Lettura 6 minuti

Un progetto corale, quattro tappe, una visione: decostruire l’ovvio, accogliere la complessità, far dialogare mondi distanti. Dal 14 maggio al 30 giugno 2025, Torino ospita un nuovo ciclo di mostre del progetto Panopticon, a cura di Tea Taramino, esperta in outsider art e promotrice di pratiche artistiche ibride, nate dentro e fuori le istituzioni.

Dopo il successo dell’edizione 2023-2024, Panopticon torna con quattro esposizioni che attraversano la città e mettono in cortocircuito saperi, linguaggi e identità. Due di queste rappresentano lo spin-off dell’edizione 2023-2024, segno che il progetto non si esaurisce, ma si trasforma e si espande.

Il titolo del progetto, evocativo e ambiguo, richiama il concetto di controllo totale ma anche di visione a 360°, come quella che l’arte – se lasciata libera – sa offrire. Con il coinvolgimento di artisti outsider e insider, studiosi e istituzioni accademiche, Panopticon è un laboratorio di riflessione in cui lo sguardo si disorienta per ritrovare nuove prospettive. Le mostre si inseriscono in contesti diversi: musei scientifici, gallerie d’arte outsider, spazi espositivi ibridi, generando dialoghi inaspettati e potentissimi tra artisti, archivi, oggetti, storie.

Ogni tappa propone un confronto audace tra pratiche artistiche diverse, accomunate da una potenza espressiva capace di abbattere stereotipi e allargare i confini del pensiero.

1. Verso la smisuratezza e l’incommensurabilità – MAET

14 maggio – 30 giugno 2025 | Ingresso e visite guidate gratuite

Nel cuore del Sistema Museale di Ateneo dell’Università degli Studi di Torino, il MAET ospita una mostra che intreccia il linguaggio visionario dell’artista Mauro Gottardo con i patrimoni scientifici del museo. A partire da una selezione del suo monumentale ciclo L’Apocalisse (270 opere realizzate tra il 2008 e il 2015), l’esposizione costruisce un dialogo con oggetti di collezione apparentemente lontani ma sorprendentemente affini, come l’Apocalypse di Anselme Millet, disegnata nel 1938 all’interno del manicomio di Collegno.

Gottardo ricompone antiche pagine anatomiche, labirinti, simboli religiosi e segni allarmati della contemporaneità, affrontando le ansie di un mondo sovrappopolato e minacciato. Ne emerge un’opera densa, inquieta e profetica, in cui arte e scienza si confrontano sulle soglie del visibile, tra la memoria e l’ignoto, tra la malattia e la visione.

2. L’anima della mela – Museo della Frutta Francesco Garnier Valletti

14 maggio – 30 giugno 2025

Francesco Garnier Valletti è stato uno dei più brillanti modellatori scientifici dell’Ottocento. Le sue mele, pesche, pere e uve artificiali, fedelissime alla realtà, sono ancora oggi conservate nel museo che porta il suo nome. Ma cosa succede se quelle mele, da oggetto di studio, diventano soggetto di arte?

A confrontarsi con la collezione è Fabrizio Roccatello, scultore e artista visivo che ha fatto della mela il suo simbolo. Le sue sculture in legno – realizzate in noce, pioppo, castagno, pero – sono mele con dita, occhi, vene, bocche. Sono sensuali, inquietanti, a volte grottesche. Simboli del peccato, del sapere, della tentazione.

Il dialogo con il museo non è solo visivo: è simbolico. Dove finisce la realtà e inizia l’artificio? Cos’è un originale? Chi stabilisce cosa è “vero”? Un video accessibile, con sottotitoli e LIS, racconta il percorso di Roccatello, la sua ricerca e il legame tra scienza e mito, tra frutto e anima.

3. Vie di fuga – Alessandro Monfrini alla Galleria Gliacrobati

15 maggio – 30 giugno 2025 | Ingresso gratuito

Alessandro Monfrini è un artista “nascosto”, schivo, ma la sua arte è tutto fuorché silenziosa. Nato come street artist, oggi dipinge su legno, carta, materiali riciclati. Le sue opere sono abitate da figure ambigue, malinconiche, spesso legate tra loro da corde, fili, catene o ali mozzate. C’è una poetica del limite e del desiderio in ogni immagine: figure umane e animali che si librano, si abbracciano, si proteggono, si trattengono.

Monfrini non ama l’esposizione mediatica, e raramente partecipa a eventi pubblici, ma la Galleria Gliacrobati – spazio che ospita e valorizza artisti outsider – è il luogo perfetto per accoglierne l’opera. In mostra, oltre a dipinti e disegni, sarà visibile un video-racconto costruito a partire dai suoi archivi, frasi, immagini di repertorio.

Il suo mondo è fatto di simboli semplici ma universali: la casa, il volo, la perdita, il legame. Ogni opera è una finestra su un altrove fragile e potente, in cui tutte e tutti possiamo ritrovarci.

4. Vie di fuga – Jhafis Quintero, Luigi Gallini e Samuel Pieta a Flashback Habitat

15 maggio – 30 giugno 2025

Tre artisti, tre storie marginali, tre visioni.
Jhafis Quintero è un artista panamense che ha trascorso dieci anni in carcere. Ha trasformato l’esperienza della reclusione in pratica artistica, utilizzando performance, video e installazioni per raccontare la condizione del corpo e della mente sotto sorveglianza. Le sue opere in mostra – potenti, crude, poetiche – parlano di resistenza, desiderio, sopravvivenza.

Luigi Gallini, ex docente universitario, oggi in regime di ergastolo, disegna da anni figure, sogni e mostri a biro e pastelli. I suoi lavori raccontano una detenzione lunga, senza tempo, popolata di creature ibride, bestie angeliche e scritte visionarie. La sua arte è al tempo stesso confessione e ribellione.

Completa la mostra l’omaggio a Samuel Pieta, migrante camerunense e artista autodidatta scomparso nel 2024. I suoi disegni, appunti e progetti vengono ricostruiti grazie al lavoro dell’attivista e ricercatrice Rebecca De Marchi, e alle fotografie di Federico Tisa. Il cuore del progetto è un’installazione mobile montata su una bicicletta – simbolo di precarietà, viaggio e radicamento – che raccoglie frammenti del pensiero artistico e spirituale di Samuel.

Le quattro mostre di Panopticon 2025 non sono semplicemente esposizioni artistiche. Sono interrogazioni aperte, spazi di resistenza, ambienti porosi dove l’arte si libera dalla sua aura elitaria e torna a essere linguaggio necessario, strumento di relazione, atto politico.

Attraverso artisti e artiste che lavorano ai margini o che hanno fatto dell’esperienza marginale il centro della propria poetica, Panopticon ci costringe a spostare il punto di vista. A guardare con occhi non addestrati, a perdere l’equilibrio, a metterci in discussione. Ogni mostra diventa un atto di fiducia: nello sguardo dell’altro, nel sapere non accademico, nell’esperienza vissuta come forma di conoscenza.

La scelta di attraversare luoghi tanto diversi – dal museo scientifico alla galleria di outsider art, dallo spazio espositivo radicato nel territorio allo scenario museale in dialogo con l’arte contemporanea – rafforza il messaggio: non esiste un solo centro, un solo linguaggio, una sola verità.

In un tempo che tende a semplificare, separare, classificare, Panopticon fa esattamente il contrario: mischia, disordina, mette in crisi, invitando il pubblico a un esercizio di apertura radicale.

Guardare non basta più. Occorre cambiare la postura dello sguardo.
E forse, proprio da questi margini – da queste fragilità, da queste crepe – può nascere un nuovo modo di abitare il mondo.

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