ASPETTANDO I DAVID DI DONATELLO: IN CONTINUITÀ SUL PIÙ BELLO OFFRE IL CALIBRO DELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA DISABILITA’ NEL NOSTRO MAINSTREAM
Che vuoi da me?
Una cena e poi se non scatta nulla giuro che ti lascio in pace…
Ci vediamo da me alle otto…
Per ogni evenienza ci scambiamo i numeri?
No, una volta all’anno faccio una buona azione e mi sa che con questo sono a posto per un po’
Il film di Alice Filippi narra la storia di Marta, ventenne affetta da fibrosi cistica e orfana da molti anni che vive inseguendo quotidianamente la sua normalità supportata dall’amore incondizionato ed ancestrale dei due amici più cari. Federica e Jacopo, entrambi omosessuali, sono reciprocamente innamorati della famiglia, di cui sono fuoco e materia prima.
Fin qui tutto bene, se non fosse che Marta (impropriamente) è convinta di essere esteticamente brutta: il suo naso importante e la sua malattia la presentano (sulla base di categorizzazioni sociali elementari) quale risultante non esattamente desiderabile, aspetto della propria personalità che la protagonista camuffa tenendo affilato il registro ironico nelle sue battute e perpetrando un positivity mood al limite dell’insopportabile.
Infine, Marta è ossessionata dal suo coetaneo Arturo, (quasi) troppo bello per essere vero e certamente per essere abbordabile. Dopo essere riuscita ad entrare nella sua cerchia dei follower, riesce a farsi notare ed ottenere una cena (anzi due) con il ragazzo dei suoi sogni, che non solo si accorge di lei ma prova a se stesso (ed allo spettatore) di quanto la superficialità umana condizioni negativamente le possibilità offerte da una relazione al di fuori della propria cerchia.
La trama potrebbe dirsi poco originale ma non per forza senza potenziale per interrogarsi sul valore dell’unicità umana che mette in relazione mondi e persone solo apparentemente agli antipodi, non fosse che la narrazione che viene offerta dei personaggi e delle loro evoluzioni è errata o distorta a monte. Marta che si autodefinisce brutta quando l’attrice che la interpreta non lo è, Arturo dichiarato bello ed impossibile il cui potenziale empatico è visibile dal primo piano, rendono quest’ennesima variante di love story poco credibile ancor prima che l’evento dinamico metta in contatto i protagonisti.
A tutto questo si deve aggiungere la tematizzazione della malattia “invisibile” come un extra non impattante perché identificato attraverso il suo termine meno conosciuto correntemente e come la chiave per giustificare qualsiasi sfumatura comportamentale della protagonista. In Sul più bello tutto sembra avere un’aura favolistica: l’ironia della protagonista, invece di depotenziare il peso della malattia (segreta fino ad innamoramento compiuto), finisce per gettare i dialoghi nel registro didascalico ed enfatizzare l’imbarazzo e la paura che genera naturalmente lo scontro con diversità e disabilità sconosciute.
La storia di Marta e Arturo, finisce per riproporre il cliché delle love story teen con uno dei protagonisti malati, che in nome della prematura fine riesce a coronare un sogno che non sembra neppure aver veramente espresso. Sul più bello l’unico film a tema disabilità presente tra le candidature del premio David di Donatello di quest’anno, in corsa per il premio alla miglior opera prima. Difficile fare previsioni: verranno omaggiati talenti prematuramente scomparsi (da Torre a Pedicini)? Giustamente glorificate le Favolacce dei gemelli D’Innocenzo? Definitivamente riconosciute le prospettive peculiari di Nicchiarelli e Dante? O si assisterà a prodotti pigliatutto?
Le scommesse sono aperte e lo scopriremo solo il prossimo 11 maggio. Lo scorso anno a vincere il David Giovani è stato Mio fratello rincorre i dinosauri, storia che si è dimostrata assai poco inclusiva nel suo non valorizzare la portata identitaria della disabilità del protagonista; quest’anno, la candidatura del film di Filippi sembra proseguire il suo discorso nella stessa direzione.
Che futuro aspetta a chi è diverso se sono queste lo opere cinematografiche che finiscono sotto i riflettori? Il Disability Film Festival è nato proprio per raccontare e mostrare storie in cui gli stereotipi escludenti non siano gli assiomi (scontati) su cui fondare il confronto ma un punto di partenza da smantellare.