Ambiente, relazioni, fragilità, sensibilità…sono queste le parole chiave di “Chi semina vento”, progetto artistico di Irene Pittatore in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. L’inaugurazione è avvenuta giovedì 26 settembre nella sede principale di via Modane 16 a Torino.
Chi semina vento
“Chi semina vento” nasce dall’esperienza dell’artista con pratiche che mettono al centro la partecipazione delle persone: in questo caso, grande protagonista è l’ambiente, in particolare l’orto e il giardino, concepiti come spazi di lavoro, apprendimento e di esercizio dell’osservazione e dell’immaginazione, oltre che di costruzione delle relazioni. L’idea si è poi concretizzata in tre percorsi, proposti a persone con diverse fragilità e sensibilità (carcere, tossicodipendenza, disabilità…) dell’Istituto Penale Minorile “Ferrante Aporti” di Torino, del CASP Centro d’Arte Singolare Plurale della Città di Torino e dell’Atelier dei Sensi curato dall’associazione Fermata d’Autobus ad Oglianico (TO).
Orti da passeggio
La mostra dà la possibilità al pubblico di ammirare due di questi percorsi: il primo è “Orti da passeggio” e ha portato alla realizzazione di piccoli vasi di terracotta, “indossabili” grazie ad un nastro di stoffa a cui sono legati: al loro interno, i partecipanti hanno seminato una piantina, mentre sulla loro superficie esterna hanno avuto modo di incidere una parola chiave che rappresenta un invito a scegliere e coltivare una rotta da intraprendere. Tutte le fasi della produzione delle opere sono state raccolte in alcuni video, mentre il percorso terminerà con una performance collettiva: “Ogni vaso – hanno spiegato Pittatore e la curatrice Tea Taramino – racchiude significati che si rifanno, attraverso le piante e più in generale all’ambiente, alla cura. Indossarli, invece, rappresenta un viaggio simbolico in cui ogni autore si fa portatore dei propri saperi e delle proprie esperienze”.
Ricomposizioni
Il secondo, “Ricomposizioni”, tratta simbolicamente il tema delle relazioni difficili attraverso composizioni decisamente estemporanee di vari pezzi di verdura e frutta, tagliati, assemblati e cuciti con fili e punti diversi. Le opere finali sono state poi fotografate ed esposte nella galleria della Fondazione: “L’idea – hanno proseguito – nasce dall’ascolto degli operatori, dalle operatrici e da chi frequenta Fermata d’Autobus e dall’esternazione del rapporto difficile con i concittadini, diffidenti verso le persone che vivono in comunità. Le ‘Ricomposizioni’ vogliono raccontare ironicamente la difficoltà di far combaciare alcuni aspetti di se stessi e del rapporto con gli altri”.
Floating Portraits
Il terzo e ultimo è invece “Floating Portraits”, nato dal laboratorio “Consapevolezza di sé attraverso la fotografia” nel 2018: si tratta di una serie di ritratti in cui le persone e i loro effetti personali sono stati immortalati in acqua insieme ad elementi naturali come fiori, foglie e rami in veri e propri “paesaggi acquatici”. L’obiettivo è quello di “offrire un’esperienza condivisa di galleggiamento e di immersione, di raccoglimento e di fluttuazione”.
Le istituzioni
La mostra è stata fortemente voluta nei propri spazi dalla stessa Sandretto, che da anni porta avanti progetti specifici con l’intenzione di aprire il mondo dell’arte contemporanea al maggior numero di persone e contesti possibili: “Abbiamo scelto di ospitarla – ha sottolineato la Responsabile Accessibilità del Dipartimento Educativo Annamaria Cilento – perché ci facciamo volentieri carico di immaginare e costruire nuove prospettive per le situazioni di fragilità, che anche in questo caso non vengono rappresentate come ‘tristi e patite’, ma piuttosto coinvolte in un progetto gioioso che racconta la bellezza”.
Ed è stata proprio la Fondazione a coinvolgere il “Ferrante Aporti” nell’iniziativa, dopo aver già rinnovato gli spazi dedicati ai laboratori di ceramica e pittura allestiti all’interno del penitenziario minorile: “Per chi sta dentro – ha commentato il Direttore Giuseppe Carro – il rapporto con il fuori è fondamentale, per questo lo abbiamo inserito nella nostra mission istituzionale. La nostra volontà è quella di incidere sui ragazzi difficili e dargli la possibilità di cambiare prospettiva di vita attraverso le esperienze e l’educazione al bello”.
All’inaugurazione di giovedì ha partecipato anche la Vice Sindaca con delega alle carceri Michela Favaro: “I ragazzi – ha dichiarato – devono incanalare la propria rabbia e la propria energia in qualcosa di positivo: l’arte, in questo, può essere un modo per esprimerle dando il meglio di se stessi. L’arte, inoltre, permette di mantenere un collegamento con la cittadinanza attraverso le opere, questo ci fa capire quanto il carcere, nonostante sia un luogo chiuso, non perda il proprio legame con il territorio”.