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Ma i disabili fanno sesso?: Iacopo Melio risponde superando ogni tabù

Data di pubblicazione 31 Gennaio 2025
Tempo di lettura Lettura 4 minuti

In Italia, la sessualità è ancora un argomento spesso trattato con imbarazzo e pregiudizi. Se poi viene associata alla disabilità, il dibattito diventa quasi inesistente, avvolto in un alone di silenzio e stereotipi. A mettere in discussione questi tabù ci pensa Iacopo Melio, giornalista, comunicatore e consigliere regionale della Toscana, con il suo nuovo libro Ma i disabili fanno sesso? 100 risposte semplici a 100 domande difficili, edito da Erickson. Attraverso un approccio diretto e accessibile, Melio affronta temi fondamentali come il linguaggio, la cultura, l’inclusione, la sessualità e il lavoro, smontando i luoghi comuni che circondano il mondo della disabilità.

Il mito dell’asessualità e altri pregiudizi

“In questo caso la società tende spessissimo a considerare (erroneamente) le persone con disabilità come asessuate, o comunque prive di un interesse sessuale se non addirittura incapaci di attrarre l’altrə”, scrive Melio. Questa visione distorta ha radici culturali profonde, alimentate da una narrazione che dipinge la disabilità come sinonimo di fragilità e dipendenza, negando agli individui il diritto di essere consideratə soggettə desideranti e desiderabilə. Al contrario, le persone con disabilità provano desideri e pulsioni esattamente come chiunque altrə e possono avere relazioni romantiche e sessuali soddisfacenti, indipendentemente dalla loro condizione fisica.

Le difficoltà quotidiane e il ruolo della società

Il libro affronta anche le difficoltà pratiche legate all’affettività e alla sessualità per chi ha una disabilità. Dall’accessibilità degli spazi all’assistenza per chi necessita di supporto per vivere la propria intimità, fino alle barriere culturali che rendono difficile la costruzione di relazioni paritarie. Un altro tema toccato è quello delle difficoltà in caso di separazione o divorzio, quando non solo i sentimenti ma anche aspetti logistici e materiali della vita quotidiana devono essere riorganizzati.

Melio invita a superare stereotipi dannosi, come quello della “crocerossina”, che vede chi si prende cura di una persona con disabilità come unə martire, o quello secondo cui la disabilità renda automaticamente un individuo un oggetto di desiderio per la sua “diversità”. Inoltre, affronta il tema dell’assistenza sessuale, un argomento ancora tabù in Italia ma centrale nel dibattito sull’autodeterminazione delle persone con disabilità in altri paesi.

Il linguaggio e l’inclusione: un problema culturale

Un altro aspetto cruciale trattato nel libro è quello del linguaggio, che per l’autorə non è solo una questione di forma, ma anche di giustizia sociale. “Le parole sbagliate riguardanti la disabilità alimentano comportamenti sbagliati, creando così dei fatti sbagliati”, scrive Melio, sottolineando come pregiudizi e stereotipi si traducano in barriere culturali e pratiche, come le barriere architettoniche. Un altro errore comune è quello dell’infantilizzazione, che porta a trattare lə adultə con disabilità come eternə bambinə, negando loro autonomia e autodeterminazione.

Un linguaggio corretto e rispettoso non si limita a evitare espressioni offensive, ma contribuisce a costruire un immaginario collettivo più inclusivo. Melio sottolinea come termini sbagliati abbiano conseguenze concrete nella vita delle persone, rafforzando una visione pietistica della disabilità e giustificando, anche inconsciamente, trattamenti discriminatori.

Verso una società realmente inclusiva

Per una società inclusiva, Melio ribadisce l’importanza del diritto all’autodeterminazione e all’autorappresentanza: le persone con disabilità devono poter esprimere i propri pensieri, desideri e aspirazioni senza che altrə parlino per loro. Questo principio aiuta a contrastare fenomeni come l'”istituzionalizzazione”, che limita la libertà individuale, e garantisce un trattamento equo e dignitoso.

Infine, l’autorə invita a cambiare prospettiva: la disabilità non deve essere vista come un’eccezione, ma come una possibile condizione universale. “Ci sarà sempre un momento in cui non si sa fare qualcosa (mentre sappiamo fare altro)”, scrive Melio, ricordando che una rampa per carrozzine può servire non solo a chi ha una disabilità permanente, ma anche a genitorə con passeggini, anzianə o persone temporaneamente infortunate.

Un libro come Ma i disabilə fanno sesso? non si limita a fornire risposte: pone domande essenziali che spingono a riflettere su inclusione, diritti e dignità. Un’opera necessaria per decostruire stereotipi e favorire una società più consapevole e giusta, in cui la sessualità e l’affettività non siano più considerati un privilegio riservato a pochə, ma un diritto di tuttə.

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